Lavori in quota da che altezza bisogna valutare il rischio | Amorini
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Lavori in quota, da che altezza bisogna valutare il rischio?

30 MAGGIO 2022

Una domanda che può sembrare banale, ma che in realtà non lo è. Facciamo insieme una piccola riflessione per rispondere al quesito: lavori in quota, da che altezza bisogna valutare il rischio?

Andiamo per gradi e, innanzitutto, definiamo il lavoro in quota. Fortunatamente la definizione è contenuta nel Decreto Legislativo 81/2008 (noto come testo unico della salute e sicurezza sul lavoro) che con l’articolo 107, definisce in modo univoco come segue:

Il lavoro in quota è l’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto ad un piano stabile“. Approfondiamo la questione e, se vuoi, consulta il nostro programma per il corso lavori in quota.

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Lavorazioni in quota

Dell’articolo 107 di cui sopra, possiamo estrapolare 4 aspetti importanti. In primo luogo, si parla di attività lavorativa e non di una o più specifiche attività. 

Quindi qualunque lavoro in quota venga svolto ricade nell’ambito di applicazione del D.Lgs. 81/08 in merito alle misure di prevenzione e protezione da adottare. Concetto tra l’altro ribadito negli articoli  precedenti – l’art.105 e l’art.106 dello stesso D.Lgs – ove si toglie ogni dubbio in merito a tale aspetto. E perciò, per i lavori in quota da che altezza bisogna valutare il rischio?

Il secondo punto degno di nota è che si parla di altezza superiore ai 2 metri rispetto ad un piano stabile. 

C’è da evidenziare come la caduta non si intenda solo da un piano in quota verso terra, ma anche da un piano terra verso il basso. Tipica situazione che si può avere negli ambienti confinati. Dunque è molto importante avere consapevolezza del fatto che si può cadere anche in caso di dislivello negativo, avendo una caduta rovinosa con conseguenze nefaste.

Lavori in quota 81 08 da che altezza bisogna valutare il rischio?

Il terzo aspetto del decreto legislativo 81/08 è rappresentato dalla dizione del piano stabile. Non si parla infatti di terreno o quota campagna, ma a tutti gli effetti di piano stabile. Perciò di qualunque piano che sia in grado di sorreggere una persona che cade o che scivola a terra dopo una caduta. La competenza da assumere è la valutazione del reale dislivello di caduta che il corpo di un operatore in quota può percorrere nel malaugurato caso si trovi a cadere.

Se il piano ove dovesse cadere, pur essendo entro i due metri, può sfondarsi all’impatto allora il reale dislivello è rappresentato da quello del piano immediatamente sottostante. 

Lavori in quota, definizione e rischio

Il quarto ed ultimo punto da tenere a mente è che: il legislatore ha introdotto il limite inferiore dei 2 metri per fissare il perimetro di competenza della norma e non per sottintendere che sotto tale quota il lavoro non possa essere pericoloso.

I dati statistici ci dimostrano che possiamo subire infortuni gravi e/o con lesioni permanenti anche da cadute sotto i 2 metri di dislivello. In alcuni casi gli effetti collaterali sono più gravi della caduta stessa (contatto con sostanze nocive, urto con oggetti taglienti, etc.). Non bisogna quindi  mai sottovalutare i lavori in quota, anche quelli sotto la soglia dei 2 metri.

Lavori in quota normativa

Il corretto approccio al lavoro in quota passa da una corretta valutazione dei rischi

La valutazione dei rischi di caduta dall’alto, un pò come avviene per tutto il ventaglio di rischi connessi al mondo del lavoro, è l’insieme di attività mirate alla definizione del livello di rischio di caduta dall’alto per gli operatori che si trovano ad operare in quota e la successiva definizione delle misure preventive e protettive da mettere in atto per proteggerli.

Quindi prima di ogni operazione svolta in altezza, che sia inferiore o superiore ai 2 metri, il datore di lavoro dovrà effettuare una valutazione del rischio di caduta dall’alto. Scegliendo le opportune misure di salvaguardia preventiva o protettiva. Perciò, un lavoro in quota, come detto superiore ai 2 metri di altezza rispetto ad un piano stabile, dovrà esser svolto in accordo alle disposizioni previste dal CAPO II del testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro relativamente alle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota.

Si dovranno quindi adottare misure preventive del rischio caduta dall’alto (organizzazione del lavoro, idoneità medica e formazione del personale operativo in quota, gestione delle interferenze, segnalazione delle aree a rischio, etc.) e misure protettive. Di queste ultime dovranno essere privilegiate quelle a carattere collettivo (parapetti, ponteggi, etc.) ovvero accortezze che proteggono contemporaneamente più individui dal rischio. Solo per i rischi residui non eliminati e/o sufficientemente ridotti dalle misure precedenti, il datore di lavoro si adopererà affinché vengano utilizzate protezioni individuali. 

DPI Anticaduta lavori in quota

A questa famiglia appartengono tutti i DPI anticaduta (dispositivi di protezione individuale anticaduta), dispositivi anticaduta lavori in quota, che l’operatore indosserà e userà per proteggersi dal rischio di caduta dall’alto. Citiamo ad esempio tutti i dispositivi di presa per il corpo (imbracature per lavori in quota, cinture ventrali, imbracature complete), tutti i sistemi di collegamento come connettori, cordini con assorbitore di energia, dispositivi retrattili, carrelli anticaduta, cordini di posizionamento e tutti i sistemi di ancoraggio come fettucce di ancoraggio, tripodi, linee vita temporanee, barre di ancoraggio, ecc.

Tali dispositivi, in accordo con l’art. 115 del D.Lgs. 81/08, dovranno essere idonei all’uso specifico e conformi alle norme tecniche. Il tutto si traduce con la prescrizione che solo il sistema anticaduta definito dall’insieme dei componenti certificati, sarà la sola misura che la legge accetta quale misura di protezione individuale contro il rischio di caduta dall’alto per gli operatori.

La scelta di tali prodotti sarà onere e cura del datore di lavoro che, secondo quanto emerso dalla valutazione dei rischi e anche quanto riportato dall’art.77 del citato decreto, dovrà individuare le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati. In più, sceglierli nel mercato in base alle caratteristiche e alle informazioni e norme d’uso fornite dal fabbricante dei DPI.

Lavori in quota altezza minima 2 metri e valutazione del rischio

Ritornando alla domanda d’apertura lavori in quota: da che altezza bisogna valutare il rischio? Che cosa succede se invece ci troviamo ad operare sotto i 2 metri di dislivello ma la caduta può risultare comunque molto pericolosa? Come detto per i lavori in quota l’altezza minima è 2 metri.

Ma, se il lavoro sarà svolto in quota ma sotto ai due metri, sarà il datore di lavoro, d’accordo con i consulenti, a definire le modalità operative in sicurezza dei lavoratori e in questa sede.

A fronte dei risultati emersi dalla valutazione del rischio potrà comunque prevedere l’adozione di DPI anticaduta privilegiando tecniche di lavoro in trattenuta e posizionamento ove la caduta è del tutto evitata e l’operatore si trova con ristrette possibilità di mobilità. 

In definitiva, se la tua domanda è “da che altezza bisogna valutare il rischio di caduta dall’alto”, la nostra risposta non può che essere di farlo in tutte le situazioni di lavoratori che operano a rischio di caduta, con un approccio critico su tutti i fronti e con le dovute attenzioni sopratutto quando il lavoro è svolto sopra i 2 metri di dislivello rispetto al piano stabile. 

Ancor più critico è l’approccio di tutti i lavori in quota ove l’operatore è direttamente sostenuto dalle funi. Argomento che merita una trattazione a parte e approfondiremo su un altro articolo.

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